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Per Aspera Ad Veritatem n.28
Comitato Parlamentare per i Servizi di Informazione e Sicurezza e per il Segreto di Stato. Incontro fra i Comitati Parlamentari di Controllo sui Servizi di Informazione e Sicurezza dei Paesi dell'Unione Europea. Roma, 3 dicembre 2003


Il 31 dicembre 2003 si è svolta a Roma, presso la Sala della Lupa di Montecitorio, la prima riunione dei Presidenti dei Comitati Parlamentari di Controllo dei Servizi di Intelligence e Sicurezza dei Paesi dell’Unione Europea, promossa dal Presidente del Comitato Parlamentare di Controllo per i Servizi di Sicurezza e per il segreto di Stato del nostro Paese, On. Enzo BIANCO. Alla riunione hanno partecipato anche altri parlamentari in rappresentanza di quei Paesi nei quali la legge non prevede specifici organi di controllo.
Attesa l’importanza dell’iniziativa, proponiamo ai nostri Lettori, per la rilevanza degli argomenti trattati, gli interventi del Presidente del Comitato, On. Enzo BIANCO e del dott. Gianni LETTA, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.


Relazione del Presidente del Comitato Parlamentare
per i Servizi di Informazione e Sicurezza
e per il Segreto di Stato, On.le Enzo Bianco


Signor Presidente della Camera,
Signor Sottosegretario alla Presidenza,
cari colleghi,

con vivo piacere, innanzitutto, intendo rivolgere un ringraziamento sincero ai colleghi dei comitati parlamentari omologhi degli altri Paesi europei. Grazie per aver accettato di essere presenti a questo nostro incontro, e rinnovo un benvenuto in Italia. Un ringraziamento sentito, a nome mio e dei colleghi del Comitato parlamentare italiano, al presidente della Camera, On.le Pierferdinando Casini, per l’appoggio dato a questa iniziativa di respiro internazionale, ma anche per l’attenzione costante che egli dimostra verso la delicata funzione di questo organismo bicamerale.
Per iniziativa del Comitato italiano, per la prima volta, sono riunite delegazioni provenienti dai Comitati di controllo della maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea; così come sono presenti colleghi parlamentari in rappresentanza di quei paesi – pochi – nei quali la legge non prevede specifici organi di controllo.
L’attacco dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers ha determinato una svolta traumatica nelle relazioni internazionali. Il tema del terrorismo è diventato all’improvviso il primo punto dell’agenda di tutti i governi. Le iniziative militari in Afghanistan e in Iraq rappresentano le tappe di una vera e propria guerra, che sembra destinata a continuare, e anzi a diventare sempre più difficile e onerosa. L’attacco suicida del 12 novembre scorso contro il contingente militare italiano a Nassiriya, che ha provocato la morte di 19 nostri connazionali; la tragica sequenza di attentati in Turchia contro luoghi di culto ebraici e obiettivi britannici; le incessanti azioni di guerriglia in Iraq, da ultimo, l’attacco feroce e selvaggio contro componenti dell’intelligence spagnola; gli allarmi continui che interessano le città europee testimoniano – se ve ne fosse ancora bisogno – quale sia la gravità della situazione internazionale.
Le preoccupazioni dei governi per la sicurezza sono diventate prioritarie. Questo sta causando conseguenze significative per tutti i cittadini, in Europa e nel mondo. Le limitazioni alla libertà di movimento, di comunicazione, alle attività finora protette dal diritto di privacy, costituiscono un pesante prezzo che il terrorismo ha imposto, prezzo del quale per molto tempo non sarà possibile liberarsi.
Occorre infatti sottolineare che il fenomeno ha caratteristiche non congiunturali, ma sembra al contrario destinato a durare nel tempo, assumendo forme mutevoli. Le implicazioni religiose e politiche del terrorismo internazionale, la sua capacità di attrazione, già dimostrata, nei riguardi di alcune frange integraliste del mondo islamico, le profonde tensioni sociali, le grandi differenze economiche, il diffondersi, anziché diminuire, di grandi aree di povertà, ci dicono che dovremo probabilmente convivere per un lungo periodo con questo terribile fenomeno e con i problemi che esso produce.
I governi dei paesi minacciati e colpiti dal terrorismo, in primo luogo gli Stati Uniti, hanno messo in campo tutti gli strumenti “tradizionali” di cui essi dispongono: militare, di polizia, gli strumenti della prevenzione. Il ruolo dell’intelligence è subito apparso cruciale. È noto che le principali agenzie americane (CIA e NSA) sono state messe sotto accusa all’indomani dell’11 settembre. Ciò sta portando ad una radicale ridefinizione dei metodi di indagine e dei criteri organizzativi. Questo ripensamento complessivo degli strumenti, dell’organizzazione, delle strategie, riguarda anche gli organismi informativi europei, che si sono dovuti confrontare con problemi analoghi, perché il nemico è comune.
Per tutto il periodo della Guerra fredda, i servizi d’informazione si sono modellati sullo scenario dell’epoca, nel quale era centrale la contrapposizione fra paesi occidentali e paesi comunisti. A questo scenario hanno conformato le loro attività. La sfida portata dal terrorismo internazionale impone una svolta, forse difficile ma certo necessaria, negli obiettivi e nell’organizzazione degli apparati di intelligence. In Italia – ma ci risulta che ciò sta avvenendo anche in altri paesi – il dibattito sulla riforma dei Servizi è ancora in pieno svolgimento. La proposta legge del Governo è stata approvata dal Senato. Tuttavia, molto può essere fatto anche prescindendo dagli interventi legislativi di riforma, che, ripeto, sono indispensabili e urgenti.
Mi riferisco alle possibilità di collaborazione fra organismi omologhi di paesi amici e alleati, o che comunque hanno deciso di concorrere lealmente nella lotta al terrorismo. Per questa strada, si può arricchire il patrimonio di informazione di tutti e di ciascuno.
L’acquisizione di sempre maggiori informazioni, e soprattutto lo scambio di esse, sono strumenti fondamentali e idonei a contrastare le attività terroristiche.
Come osservano i più accreditati esperti ed analisti, le organizzazioni che abbiamo di fronte operano con strutture estremamente ramificate, in grado di colpire obiettivi dislocati nei più diversi contesti territoriali. E tuttavia, esse perseguono una strategia unitaria, che si propone, come ormai sembra chiaro, di minare alla base la sicurezza e la convivenza civile, di seminare il panico nelle nostre città. Un avversario di questo genere, che porta la sua minaccia a livello globale, può essere seriamente contrastato solamente con una risposta altrettanto coordinata e globale. In altri termini, le risorse umane e finanziarie che gli Stati sono in grado di mettere in campo, devono concentrarsi su una strategia comune, capace di affinare e potenziare gli strumenti di indagine, come quelli più specificamente di polizia.
In questa prospettiva, credo sia importante cercare forme di coordinamento anzitutto a livello europeo delle strutture di intelligence, prendendo ad esempio, pur con tutte le necessarie differenze, il modello dell’agenzia Europol. È possibile cominciare a pensare di dar vita ad una vera e propria agenzia di intelligence europea. Qual è, colleghi, la vostra valutazione? Pensate sia utile immaginare non una macrostruttura, un super-servizio europeo, ma un’agile struttura di coordinamento, una sede stabile di scambio di informazioni, che consenta una maggiore efficacia all’attività di intelligence dei partners europei.
Abbiamo fatto riferimento, sinora, ad una serie di necessità, condivise da studiosi e addetti ai lavori, che si sono manifestate a partire dall’11 settembre: rafforzamento delle strutture di intelligence e innalzamento della loro qualità; estensione delle aree di intervento; previsioni di legge a maggior garanzia per gli agenti, specie quelli infiltrarti nelle organizzazioni terroristiche e nei gruppi criminali. Ma questo è uno dei lati della medaglia. Nei moderni paesi democratici, a maggiori poteri dell’intelligence deve corrispondere un livello più alto e affidabile di garanzie, ovvero di controllo parlamentare. Il rapporto tra governi e parlamenti, in questo senso, deve svolgersi secondo principi di assoluta trasparenza, nella diversità dei ruoli. I governi hanno responsabilità e poteri di intervento; alle assemblee parlamentari spetta il compito, delicato e irrinunciabile, di vigilare sul rispetto dei principi stabiliti dalle costituzioni e dalle leggi. Solo in questo modo si potrà chiedere ai cittadini e alle comunità di ognuno dei nostri paesi, e ai cittadini dell’Unione, quei sacrifici negli stessi stili di vita che la minaccia terroristica sta imponendo ovunque.
Il ruolo dei comitati di controllo, già rilevante in quanto tale, non può che risultare accresciuto da una situazione come quella che è stata delineata. Di questo ruolo, e dei delicati compiti che esso comporta, dobbiamo essere tutti consapevoli. Sarebbe assolutamente incomprensibile, in Italia come in ciascuno dei nostri Paesi, pensare proprio in un momento come questo di ridurre anziché di accrescere il ruolo, la funzione, i compiti attribuiti ai nostri organismi. Sarebbe un grave errore non coinvolgere a pieno i parlamenti nazionali, e quindi le opposizioni, ma anche – nei termini e nei modi consentiti dalle ovvie esigenze di riservatezza – l’opinione pubblica in quella “guerra” contro il terrorismo che si vince solo con il sostegno forte dei cittadini. Ad essi possiamo chiedere sacrifici, anche di compressione di alcuni spazi di libertà e di riservatezza, potremo chiedere di cambiare abitudini, di fidarsi di più dei servizi di intelligence, se garantiremo in modo credibile che non ci saranno soprusi, deviazioni, usi impropri.
Questo delicatissimo compito, colleghi, spetta in primo luogo a noi, ad un efficace controllo parlamentare.
Partendo da queste considerazioni, voglio auspicare che il nostro incontro di oggi sia il primo, concreto passo di una effettiva crescita della collaborazione e, se possibile, di una integrazione fra gli organi di controllo europei. Sarebbe importante, in tal senso, prevedere occasioni di incontri periodici, per esempio a cadenza annuale, per confrontare le rispettive esperienze e scambiare valutazioni. Una vera e propria associazione, un club dei comitati di controllo europei che sistematicamente si scambia informazioni, esperienze, procedure.
Credo che su questa proposta sarà molto utile ascoltare le opinioni dei colleghi presenti nel corso dei loro interventi.
Mi sembra anche opportuno che in questa giornata vengano confrontate le esperienze istituzionali dei diversi comitati parlamentari, con riguardo alle funzioni e ai poteri che ad essi sono attribuiti dai rispettivi ordinamenti. Il vice presidente del Comitato italiano, senatore Giuliano, illustrerà in sintesi i compiti del nostro organismo parlamentare, per consentire a tutti i colleghi di conoscerne l’ordinamento e le linee essenziali dell’organizzazione.
Voglio concludere, rinnovando un sentito ringraziamento per la vostra disponibilità, proprio sottolineando come l’esperienza italiana che da sempre vede affidata la responsabilità di presidente del Comitato parlamentare di controllo ad un membro dell’opposizione, registra un alto grado di collaborazione che è indispensabile nella difficile missione che ci è affidata, contribuire a mantenere il massimo grado di sicurezza possibile tanto più in una condizione difficile come questa. La sicurezza dei nostri Paesi, del continente europeo, non è di destra o di sinistra, britannica o tedesca, cattolica o protestante. Se questo incontro di Roma, nella prestigiosa Sala della Lupa, sarà servito a rafforzare questa consapevolezza, il vostro tempo – cari colleghi – non sarà sprecato.

Discorso del Sottosegretario di Stato
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri,
dott. Gianni LETTA


Illustrissimo Presidente,

desidero esprimerLe, a nome del Presidente del Consiglio e mio personale, un sentito saluto ed un fervido ringraziamento per un’iniziativa che, a ventisei anni dall’entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, offre l’opportunità sia per tracciare un complessivo bilancio dell’attività fino ad ora svolta dal Comitato che Lei presiede con sensibilità ed equilibrio sia per delineare, in una necessaria prospettiva di comparazione, le future linee dell’azione di tale organo, anche in relazione al disegno di legge di riforma dell’ordinamento dei Servizi per l’informazione e la sicurezza attualmente in corso di esame da parte del Parlamento.
Quanto al primo aspetto, un giudizio sull’operato del Comitato in questo periodo non può che essere largamente positivo ove si abbia riguardo alle finalità perseguite dal legislatore con l’istituzione di un organismo bicamerale cui affidare il controllo sull’applicazione dei principi stabiliti dalla legge n. 801 del 1977.
Tale valutazione positiva deve essere espressa, in primo luogo, con riguardo alla struttura del Comitato.
Se, infatti, la previsione di uno speciale comitato parlamentare bicamerale composto, sulla base del criterio di proporzionalità, da un numero limitato di deputati e di senatori rispondeva al dichiarato fine di consentire uno stabile ed efficace intervento del Parlamento nella materia in esame, in un quadro di necessario coordinamento fra le Camere e con adeguate garanzie di riservatezza dei lavori parlamentari, tale obiettivo è stato sicuramente conseguito.
In particolare, la qualità e quantità del lavoro espresso dal Comitato nel corso di questi anni testimonia la correttezza della scelta di istituire una commissione permanente, come tale in grado di presiedere con continuità al delicato compito ad essa affidato.
Il carattere speciale dell’organo ha consentito, poi, la considerazione unitaria di una materia che interessa una pluralità di settori dell’ordinamento statale – dalla politica interna alla politica estera, dalla difesa nazionale ai settori industriale, finanziario e della giustizia – e che ricadrebbe, quindi, nelle potenziali competenze di più Commissioni parlamentari permanenti.
L’esperienza dell’attività del Comitato ha, inoltre, dimostrato, sia pure con qualche deprecabile eccezione, che un organo stabile costituito da un ristretto numero di componenti, che normalmente dovrebbero contraddistinguersi per un’elevata responsabilità ed un alto senso delle Istituzioni, è in grado di assicurare adeguato riserbo alle informazioni acquisite nell’esplicazione delle proprie competenze. Ancor di più e meglio dovrà fare in momenti difficili e in situazioni complesse come quelli che viviamo.
In tale contesto non sembra necessario recepire, in sede di riforma del settore, la proposta, pur autorevolmente formulata dalla Commissione Jucci, di ridurre ulteriormente il già esiguo numero dei Componenti il Comitato. Un intervento in tal senso rischierebbe di limitare in misura eccessiva la rappresentanza proporzionale delle diverse forze politiche nell’organismo di controllo. Il fine di rafforzare il vincolo del segreto sui lavori della Commissione può, piuttosto, essere conseguito confermando il richiamo a tale obbligo ed estendendolo per i Componenti anche dopo la cessazione del mandato parlamentare e rimettendo ai Presidenti delle Camere l’adozione di misure idonee.
In termini generali il Comitato si è rivelato strumento idoneo ad accrescere l’incisività del controllo politico sull’esercizio della potestà di indirizzo da parte del Governo nella materia in esame, con un’azione che non sostituisce ma integra quella delle Camere nell’esercizio della funzione di ispezione politica, anch’essa rafforzata per effetto dell’obbligo che la legge impone al Governo di presentare una relazione semestrale alle Camere e di comunicare alle stesse ogni atto di opposizione del segreto di Stato.
Il giudizio positivo che si anticipava appare, poi, a maggior ragione giustificato qualora si considerino i risultati dell’azione del Comitato in relazione alle ragioni che ne giustificarono l’istituzione.
A tale riguardo sono note le vicende che, già nella seconda metà delle anni ‘60, portarono alcuni lungimiranti esponenti politici italiani a suggerire la costituzione di una apposita commissione parlamentare preposta alla attività di controllo e di indirizzo sui Servizi di informazione e di sicurezza. Si allude, in particolare, alle proposte di ristrutturazione dei Servizi formulate nella relazione di minoranza a conclusione dei lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 (la cosiddetta inchiesta SIFAR).
Nella logica di comparazione fra differenti ordinamenti, che opportunamente informa questo convegno di studio; è anche utile ricordare che la scelta di istituire, con la riforma del 1977, un Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato si ispirava direttamente ad analoghe soluzioni elaborate in quegli anni in alcune esperienze giuridiche straniere.
L’immediato precedente storico era, infatti, rappresentato dalla istituzione da parte del Senato degli Stati Uniti, con la deliberazione n. 400 del 19 maggio 1976, del “Comitato speciale sui servizi di informazione” (Select Committee on Intelligence), così recependosi le indicazioni contenute nel rapporto finale elaborato dalla cosiddetta “Commissione Church” sulle attività illegali commesse dai Servizi statunitensi in quegli anni (1) .
In ambo i casi la costituzione di un organismo parlamentare permanente che vigilasse sull’attività dell’esecutivo nel settore delle informazioni e della sicurezza rispondeva al fine di realizzare uno stabile momento di controllo democratico su attività che potevano incidere in modo significativo sui diritti e sulle libertà fondamentali dei cittadini e che talvolta avevano dato luogo ad abusi. Come osserva un autorevole studioso, si intendeva così ricondurre anche le attività inerenti a questa funzione dell’Esecutivo “nell’ambito del circuito democratico tipico degli organi costituzionali secondo le regole di equilibrio tra di essi proprie al di là del momento, pure importante, ma sotto questo aspetto episodico, della predeterminazione con atto di legge dei principi fondamentali dell’organizzazione e dell’attività del settore” (2) .
A distanza ormai di molti anni tale soluzione normativa ha confermato la sua piena validità e può proporsi come un modello per la generalità degli ordinamenti giuridici europei, anche nella prospettiva di un coordinamento fra organismi parlamentari consimili.
A tale proposito particolare rilievo assumono le indicazioni contenute nella Risoluzione n. 113, adottata il 4 dicembre 2002 dalla UEO, che, all’indomani dei tragici eventi dell’11 settembre, invita i Parlamenti nazionali:
- a sostenere progetti di riforma dei sistemi di informazione e sicurezza che tutelino le prerogative parlamentari in modo da rendere più efficiente ed efficace il controllo democratico sull’azione di intelligence;
- ad adoperarsi per organizzare una collaborazione con gli organismi parlamentari a cui è affidato tale controllo, organizzando riunioni comuni sulle pratiche che rivestono interesse al di là dei confini nazionali;
- ad utilizzare tutte le risorse umane ed economiche assegnate a tali organismi allo scopo di rendere più efficienti gli strumenti di lavoro messi a loro disposizione.
D’altro canto, a fronte di una diversità dei sistemi per gli apparati di intelligence nei vari Paesi dell’Unione, il dato più omogeneo, pur con alcune differenze, sembra rinvenirsi proprio nel controllo parlamentare.
Certamente, le prerogative e gli assetti dei vari organi parlamentari a cui è affidata la materia dell’intelligence presentano aspetti in parte differenti, legati, ad esempio, all’accorpamento di più funzioni oppure a diversi criteri di rappresentanza rispetto alla composizione delle rispettive Assemblee. Tuttavia, vi sono i presupposti per un’azione comune che sarà tanto più efficace se riuscirà a costituire una relazione proficua con gli organi che, in sede nazionale o europea, sono chiamati a prendere decisioni in materia.
Da quest’ultimo punto di vista, anche in ragione del mutato quadro internazionale, si registra un’interessante evoluzione nei contenuti dell’attività di controllo posta in essere da diversi comitati parlamentari operanti in questo settore, che non si esaurisce nel tradizionale controllo-vigilanza sulla legalità dell’operato dei servizi di intelligence, ma assume sempre di più il carattere di un controllo propulsivo, volto a garantire l’efficacia, l’efficienza e l’economicità delle strutture amministrative di informazione e sicurezza coadiuvando l’azione dell’Esecutivo.
In tal senso l’esperienza italiana appare significativa proprio per il rapporto instauratosi tra l’istituzione parlamentare e l’Autorità di governo responsabile.
Al di là degli strumenti previsti dalla legge istitutiva, tra il Governo ed il Comitato parlamentare si è consolidato uno spirito di leale collaborazione istituzionale, che trova riscontro nel reciproco rispetto delle attribuzioni e nella piena disponibilità.
Sono stati a tal fine pienamente valorizzate alcune indicazioni già offerte dalla legge di riforma del 1977, che, ad avviso di autorevoli studiosi, delineava l’attività del Comitato parlamentare non in termini di mera sorveglianza sull’azione dei Servizi, bensì principalmente in chiave di “controllo a fini di influenza-orientamento“ (3) , in un contesto in cui era centrale il potere di formulare “proposte” al Governo ed in cui la stessa formulazione di “rilievi” si collocava, comunque, nella prospettiva di indirizzare per il futuro un’attività esercitata nel tempo in modo continuativo.
Per questa via, da un lato, il Governo si è mostrato sensibile alle esigenze conoscitive dell’Organo parlamentare, mentre quest’ultimo, a sua volta, ha svolto un ruolo propositivo, estremamente utile, tale da rappresentare un contributo costante al buon governo dell’attività di informazione e sicurezza.
Una valutazione positiva deve esprimersi, in particolare, con riguardo alla prassi parlamentare che è invalsa circa la facoltà per il Comitato di inviare, nel rispetto dei vincoli di segretezza, Relazioni scritte alle Camere che si aggiungono alla relazione semestrale con cui il Governo deve riferire al Parlamento intorno alla politica informativa e della sicurezza e sui risultati ottenuti. In tal modo il rapporto fra il Comitato e le Assemblee non si ricollega più alla mera necessità di superare un momento di conflitto con l’Esecutivo in relazione all’opposizione del segreto su alcune informazioni, ritenuta non fondata dall’organismo di controllo –- uniche ipotesi in cui la riforma del 1977 prevede che il Comitato riferisca alle Camere (art. 11, comma 4 e art. 16 della legge n. 801 del 1977) –, ma si inserisce nella normale dinamica delle relazioni interne al Parlamento al fine di fornire a quest’ultimo ulteriori elementi conoscitivi che integrano quelli offerti dal Governo. Da questo punto di vista va aggiunto che le Assemblee parlamentari vengono in considerazione non solo come soggetti che controllano l’acquisizione delle informazioni da parte dei servizi di intelligence, ma sempre di più anche come “consumatori” di informazioni necessarie per il consapevole espletamento dei propri compiti costituzionali.
Le approfondite Relazioni del Comitato al Parlamento hanno, inoltre, costituito un apporto prezioso per le decisioni e gli orientamenti governativi in materia.
In questo senso, di recente, si rammenta in primo luogo la Relazione approvata il 13 dicembre 2001 sulle ipotesi di riforma del settore, ricca di indicazioni condivise e in parte tradotte nel disegno di legge governativo.
Anche in altre circostanze, il qualificato apporto del Comitato, più che segnato da intenti “censori” o polemici, nel descritto quadro collaborativo, ha offerto lo spunto per meglio calibrare le direttive del Governo su singole questioni collegate all’azione informativa e di sicurezza.
Una ricognizione, per quanto sommaria, delle materie che hanno costituito oggetto di Relazioni approvate dal Comitato parlamentare nelle ultime tre legislature conferma come l’attività di tale organismo integri quella del Governo nel settore dei Servizi di intelligence senza sovrapporsi ad essa. Infatti, mentre le Relazioni semestrali al Parlamento trasmesse dal Governo, anche in ragione della loro cadenza periodica e dell’organo da cui promanano, sono dirette ad offrire un quadro delle principali aree di intervento dei Servizi nel periodo di riferimento e dei risultati ottenuti, le Relazioni trasmesse ai Presidenti delle Camere dal Comitato parlamentare di controllo costituiscono l’occasione o per un esame puntuale di specifiche vicende che interessino la materia in esame (Omicidio Biagi, Caso Ocalan, Caso Mitrokhin, Caso Echelon) o per preziose riflessioni di carattere generale sul ruolo e sull’organizzazione dei Servizi di intelligence.
Meritano di essere particolarmente segnalate, sotto questo profilo, le Relazioni che, sotto diverse prospettive, sono state dedicate al tema della raccolta e conservazione delle informazioni riservate (approvata il 29 aprile 1997), all’esame dei sistemi dei reclutamento del personale del SISDE (1° luglio 1997) e dello controllo amministrativo-contabile sugli atti dei Servizi (28 luglio 1998).
La funzionalità, poi, del controllo relativo al segreto di Stato è chiaramente testimoniata dall’uso fisiologico, ossia estremamente limitato, che i Governi hanno fatto dell’istituto, trovando sempre l’approvazione del Comitato circa la fondatezza della scelta, comunque vissuta come estrema ratio.
Restano, certo, margini di miglioramento, che potranno trovare soluzione nei lavori di riforma, attualmente all’esame dei competenti organi parlamentari.
Nella direzione del rafforzamento dei poteri conoscitivi attribuiti al Comitato si colloca la norma del progetto di riforma, che estende la procedura prevista per il caso di infondata opposizione del segreto al Comitato da parte del Governo, anche alle ipotesi in cui alla richiesta di informazioni non segua risposta entro il termine di sei mesi sempre che nelle more non sia opposta l’esigenza di tutela del segreto.
In termini più generali è ormai diffusa la consapevolezza che il riconoscimento di un ruolo centrale agli organismi parlamentari di controllo non può e non deve costituire un ostacolo per l’azione dei servizi di intelligence, ma rappresenta piuttosto il presupposto per rafforzare l’efficacia di tale azione in un quadro di adeguate garanzie democratiche.
A tale riguardo sempre l’esperienza italiana offre una conferma di tale assunto, ove si consideri che la previsione di accresciute garanzie funzionali al personale dei Servizi, in relazione a condotte poste in essere nell’ambito di operazioni legittimamente autorizzate, è prefigurata e ritenuta possibile nell’ambito del menzionato disegno di riforma proprio a fronte di un ampliamento dei poteri di controllo del Comitato, che potrà acquisire informazioni anche con riguardo alle attività autorizzate ed accertare l’esistenza delle prescritte autorizzazioni.
Anche l’esercizio da parte dei Servizi di attività economiche per il miglior espletamento dei compiti affidati o a copertura di essi è consentito, in base al disegno di riforma, a fronte dell’obbligo per il Presidente del Consiglio di trasmettere al Comitato parlamentare una specifica informativa su tali attività.
L’approccio descritto, volto ad una positiva collaborazione fra controllo parlamentare ed Esecutivo, ferme restando le diverse posizioni istituzionali, emerge come giusta prospettiva anche in ambito europeo: l’obiettivo è quello di sviluppare una capacità propositiva, nel confronto, che possa aiutare, indirizzandole, le decisioni di governo, sia in ambito nazionale che europeo.
Il controllo parlamentare assume, così, un valore preventivo, suggerendo una definizione della politica europea dell’intelligence che contemperi i principi di libertà con l’efficacia dell’azione informativa e di sicurezza.
I recenti gravi episodi di terrorismo internazionale pongono indubbiamente i Paesi europei di fronte ad una nuova sfida.
Devono, infatti, essere coniugati l’efficacia della risposta a fronte di minacce terroristiche senza precedenti con il presidio dei valori fondanti una libera democrazia: l’esperienza dell’attività degli organismi parlamentari di controllo nei diversi Paesi europei ci indica che questa sfida può essere affrontata con successo e che la valorizzazione del ruolo del Parlamento in questa materia costituisce il presupposto ineliminabile per una complessiva strategia di difesa delle Istituzioni democratiche.


(*) In data 1° aprile 2004 è stata annunciata dal presidente Bianco l’intenzione di dare continuità all’incontro di Roma con una nuova riunione da tenersi in autunno in Italia, allargata alle equivalenti Commissioni del Congresso degli Stati Uniti.
(1) Commissione speciale per lo studio delle attività dell’Esecutivo riguardanti le informazioni e la sicurezza, istituita dal Congresso degli Stati Uniti il 15 gennaio1975 e presieduta dal senatore Church.
(2) A. MASSERA, Servizi di informazione e sicurezza, in Encicl. Dir., vol. XLII, Milano, 1990, p. 399.
(3) C. TROISO, Controllo parlamentare e servizi di sicurezza nell’ordinamento italiano, Roma, 1981, p. 112.

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